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Si dice così, a tavola senza dubbi amletici

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Si dice così, a tavola senza dubbi amletici

L’ italiano, si sa, si evolve in continuazione e si arricchisce ogni giorno di neologismi spesso spurii, provenienti da altre lingue o peggio dall’uso comune.

Questa non è una buona scusa per deturparlo o per soprassedere sulle sue regole basilari, necessarie ad una buona ascoltabilità e al mantenimento dell’identità culturale stessa.

La tavola delle contraddizioni

Uno degli ambiti sicuramente più a rischio è quello relativo alla gastronomia, alla tavola e a tutti i termini che intorno ad essa ruotano: neologismi, esterofilie, piatti tradizionali di altre culture, un autentico ginepraio dal quale spesso è veramente complesso districarsi.

lungi dal poter (e voler) essere enciclopedici possiamo districare alcuni dei dubbi più comuni, giusto per evitarci quelle figure da due soldi che, quando ci si siede a tavola in certi contesti, sono sempre dietro l’angolo.

i dubbi linguistici a tavola

Della disputa quasi religiosa tra Arancina e Arancino abbiamo già discusso, ma per una che è stata risolta in maniera salomonica, Tante altre restano ancora in divenire.

Ad esempio si dice Melagrana o Melograno? Storicamente, come la tradizione iconografica pittorica testimonia, si  propende per l’utilizzo del femminile Melagrana ma l’uso comune odierno si è orientato verso l’utilizzo del maschile, basta leggere le etichette dei succhi di frutta per farsene un’idea. Risultato? A quanto pare l’Accademia della Crusca predilge  la soluzione più attuale, quindi Melograno, pur non negando la legittimità del femminile cosi diffuso nel linguaggio anche dialettale.

Altra querelle non da poco riguarda le nostre amate Melanzane, ma si dice cosi o si dice Melenzane? L’uso comune soprattutto nel meridione infatti propende proprio per quest’ultima soluzione, che per la Crusca però è da considerarsi arcaica, se non propriamente dialettale. Quindi Melanzana, non Melenzana.

una questione tutta francese

Curioso è poi il caso del Gattò di patate. So cosa state pensando, “ma si dice Gateau!”. Si e no. infatti a quanto pare si tratterebbe di due cose distinte. Il termine Gattò deriva dalla tradizione gastronomica partenopea, è accertato già in tardo settecento e si riferisce esattamente a quel tortino di patate con uova formaggio e prosciutto, che abbiamo in mente. E’ ovviamente un termine di diretta derivazione francese, un’influenza dovuta alla dominazione asburgica del regno di Napoli. Il termine da cui deriva, Gateau appunto, in francese indica però in maniera molto generica qualsiasi tipo di torta, sia essa salata o dolce. Per cui a conti fatti, l’italiano Gattò sembrerebbe un termine più indicato e corretto, se vogliamo indicare il piatto in questione.

Altro dubbio amletico, anch’esso di derivazione transalpina, riguarda il mondo dello spumante, voi lo bevete nella flûte, al femminile, o nel flûte al maschile? Qui la querelle è succosa e tutt’altro che risolta. L’italiano si è appropriato di questo termine francese che propriamente vuol dire flauto ed è originariamente femminile, per indicare il calice alto e stretto utilizzato per champagne e spumante. Probabilmente in riferimento al corrispettivo italiano, flauto appunto, l’uso comune ha decretato come corretta la forma maschile, indeclinabile al plurale. Contestualmente è addirittura nato il termine italianizzato fluttino derivante dalla forma maschile. E’ però sufficientemente diffusa una corrente di pensiero purista e francofila che mantiene fede all’origine del termine decliandolo al femminile. La flûte quindi, per i più esigenti. il flûte per la plebe, ci si consenta l’ironia.

La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura - Claude Levi Strauss

Districarsi nel mondo del food d’oltreoceano

L’impresa non è delle più semplici, diciamolo, perchè nemmeno la Crusca ci si raccapezza. Non c’è una regola precisa da seguire se non l’uso comune e un certo buonsenso nel distinguere se si stia parlando di una torta, per cui è opportuno l’utilizzo del femminile, o di un dolce, per cui si propende normalmente al maschile. Secondo questi criteri viene dunque spontaneo declinare il pancake, il muffin, il cupcake, il brownie, il donut e d’altra parte la cheesecake, la apple pie, la carrot cake.

E’ regola generale, utile e valida non solo per il mondo della gastronomia ma per tutte le parole derivanti da altre lingue, l’invariabilità al plurale dei suddetti termini. E’ sempre sbagliato, se si parla in italiano, l’utilizzo di un qualsivoglia plurale, anche se si indicano più unità. Non diremo quindi mai “tre muffins” ma semplicemente “tre muffin”.

Apericena: maschile o femminile?

Ci sono parole che nascono male per senso e per costrutto. Sgraziate come “apericena” per fortuna ne ricordiamo poche. Ma è indubbio che purtroppo essa sia entrata nell’uso comune prepotentemente, in virtù di questa moda ampiamente diffusa, anche alle nostre latitudini.  Relegare la più nobile e ricca cena a questo ibrido metà calice di vino, generalmente aperto da tre giorni,  metà ricco buffet di “schittichi”, rigorosamente a buon mercato, sembra essere la tendenza più in voga del momento, presso lounge bar, caffetterie e bistrot.

Ma questo termine è femminile o maschile? si dice un apericena o un’apericena? A quanto pare la tendenza è quella di considerarlo maschile, la spiegazione, sempre secondo la Crusca, è che, se anche si ammette l’uso del femminile, l’idea da cui nasce questo termine è un “aperitivo arricchito”, per cui si dovrebbe prediligere il mantenimento del genere del termine originario. Noi francamente prediligiamo l’uso della cena, il popolo degli aperitivi rinforzati non ce ne voglia a male.

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